La mia vita passava abbastanza tranquilla, lavoro, casa, famiglia ,esami mensili di controllo. Solo nel momento in cui si alzavano i valori dei linfociti cd19 allora mi regalavano una terapia. I primi anni le infusioni erano due. La prima a pochi giorni dall’esito degli esami del sangue e la seconda dopo 15 giorni. Questo era il protocollo. Ho passato così 5 anni. La cosa strana è che i miei linfociti salivano sempre tra luglio e agosto, per cui invece di andare al mare come facevano tutti, i miei giorni di riposo o di ferie li passavo a casa tra una terapia e l’altra. Non potevo stare al sole, con la premedicazione pre terapia era incluso il cortisone che cozza con il sole,è sconsigliato esporsi ai raggi solari perché la pelle tende a macchiarsi di marroncino in modo indelebile. Ma non stavo male. Ogni anno facevo le risonanze magnetiche di controllo per vedere come procedeva la malattia dall’interno,e con grande stupore le placche diminuivano sempre di più invece di aumentare. Cosa per altro anomala in una malattia degenerativa demielinizzante.
Avevo finalmente trovato casa nel mio quartiere, dove ero nata, dove avevo ricordi e amici. Ora si che stavo bene. Ma il destino ovviamente non mi ha dato tregua e nel 2011 dovetti anche affrontare un lutto terribile. Una sera di gennaio mio marito colpito da aneurisma mi lasciò a combattere da sola. Dopo qualche mese ero sotto terapia. Dopo poco tempo dovetti traslocare. Non avevo un lavoro, non avevo una macchina, non avevo soldi e dovevo trovare una casa. A pensarci oggi non so dove ho trovato le forze per fare tutto.
Ma io avevo Mattia. Mi era rimasto solo quello. Lui era ormai la mia famiglia. Dovevo rialzarmi per lui.
E così feci. Trovai un alloggio in campagna, lontana dal casino della città. Abitavo in un maneggio. Pagavo poco di affitto e il mio dirimpettaio diventò presto il mio angelo custode. Lui è Attilio. Il mio Attilio. A sfortuna e disgrazie ce la giocavamo bene entrambe. Trovai un occupazione, grazie agli assistenti sociali del comune. Comprai una Nissan Micra datata 1992. Color fagiolo. Con lo stereo a cassette.
Ripresi in mano la mia vita e ricominciai a ridere, mentre Mattia cominciò la scuola materna. Tutto filava liscio. Riuscivo anche a non sentirmi troppo sola. Avevo un gatto. Un criceto. Un pesce rosso. Sapevo che potevo superare ogni cosa se solo lo avessi voluto. La mia forza di volontà e la voglia di vivere mi diedero la spinta per risalire. Galleggiavo. Avevo la testa fuori finalmente, ma ero comunque immersa in un mare di merda. Cercavo di fare finta di niente. I miei amici mi stavano vicino. Pochi capivano come stavo. Si soffermavano al mio sorriso, che non ho mai abbandonato, e così credevano che io stessi bene. Ho pensato di non farcela molte volte. Ho fatto i lavori più strambi come baby-sitter di notte, la benzinaia, la colf, la cameriera, tutto in contemporanea.
Mi sentivo terribilmente sola. Un lutto del genere lascia un vuoto nello stomaco che non si può spiegare. Dentro ero morta anche io. Ma me ne accorsi solo molti anni dopo.. Mi tenevo occupata e riuscivo a non pensare, ma non era la soluzione.
La mia nuova casa era un disastro. Forse era la tragedia più grande di quel periodo. 2 stanze e un bagno. 20 metri quadrati. Riscaldamento a metano, mal gestito, con un bombolone che si svuotava immancabilmente di venerdì sera. Quindi tre giorni senza acqua calda, gas per cucinare e riscaldamento. Mattia passava tutti i weekend dai nonni, io dormivo con la berretta. Non avevo gli spifferi, entrava proprio il vento dalle finestre chiuse. I vetri facevano condensa e il mattino spaccavo il ghiaccio col coltello per aprire la finestra. I primi mesi sono stati tragici. Poi mi sono adattata e ho messo la bombola alla cucina a gas, ho comprato una stufa a pellet per scaldarmi e la doccia la facevo dai miei. Però stavo bene. Mi sentivo serena.
La sera stavo ore dalla finestra ad ascoltare le cicale, non c’era il chiasso cittadino, vicini di casa rumorosi..si stava in pace. Ed io avevo bisogno di quello. Avevo abbellito la mia tana. Io e Mattia ci eravamo abituati ai pochi metri a disposizione. Eravamo passati da 120 metri quadrati a 20. Avevo venduto tutti i vecchi mobili, il divano, la cameretta.. li non mi stava nulla. Avevo davvero cominciato un’altra vita. Sopravvivevo coi pochi soldi che il mio lavoro mi offriva. Avevo la tessera per prendere la spesa settimanale alla mensa sociale. Io e mattia abbiamo vissuto comunque dignitosamente nonostante tutto. Ammortizzavo le spese. Non avevo internet, ne le scarpe firmate.
A mio figlio non mancava nulla. Aveva il judo, lo zaino che gli piaceva, le scarpe geox con le luci. Non ha mai fatto capricci, ha da sempre capito la situazione e non mi faceva pesare la nostra condizione. La spesa era solo per lui. Biscotti, latte, pasta, carne e pane. Io mangiavo cosa avanzava lui. A volte andavo al mc donald e pranzavo coi panini merdosi a un euro. Ma non mi sono mai lamentata. Non ho mai chiesto soldi a nessuno. Mi sono creata una corazza indistruttibile.
Ero incazzata col mondo, ma cercavo comunque di colorarlo tingendomi i capelli di viola, verde, blu, arancione, giallo, turchese, lilla, rosa…Quel periodo di solitudine mi ha portata a scrivere. Ho cominciato con una smemoranda, come alle medie. Buttavo giù pensieri, sogni, incubi, progetti. Mi sfogavo e stavo meglio. Non ero comunque serena.
Ero sicura di aver toccato il fondo. Potevo e dovevo solo risalire.
Ho anche provato l’esperienza cucciolo. Si, presi un cane, che più che un cane era una bestia di satana. Non ha Mai obbedito a nessun comando. Non aveva capito nemmeno che si chiamava Baster. Cagava e pisciava ovunque, mangiava qualsiasi cosa e di notte piangeva ininterrottamente. Dopo due mesi lo portai dai miei genitori. Li non aveva regole, viveva in un recinto coi cavalli. Lui non voleva regole. Era un fottutissimo bassotto anarchico senza coda. Ma la fortuna per una volta aveva girato dalla mia parte e trovai un lavoro vero. Uno stipendio dignitoso. Molte ore di lavoro, ma sopportabili.
Dopo due anni tirai un sospiro di sollievo. La prima cosa fu il trasloco. Poi cambiai la macchina. Avevo bisogno di un auto un pochino più sana. Ogni mese dovevo andare ad Orbassano a fare gli esami ed ero costretta a chiedere passaggi a tutti.
Ed ecco arrivare la mitica panda gialla. Aveva pochi km. Unica proprietaria. Gialla limone. Interni azzurri. Una sorta di assemblaggio studiato sicuramente da un daltonico. Ma funzionava e costava poco. Il treno di gomme invernali in omaggio è ancora intonso in garage.
Da li la vita mi sorrise.
Comunque la micra colorfagiolinobollitotanto Va ancora da dio!
E si Attilio è un angelo! Un angelo che condivido volentieri con te e Mattia…strana la vita…Io e te abbiamo una storia simile e l’universo ci ha concesso il privilegio di incontrare un angelo…che culo! La vita alla fine ci regala sorprese incredibili…alti bassi ma sempre guerriere e con quel sorriso che nessuno ci può rubare.