Da allora fui Emanu-leela.

 

Nel luglio 2008 mi svegliai un mattino con qualcosa che non andava, avevo una strana sensazione, c’era qualcosa che non funzionava, ma non capivo cosa fosse. Il giorno prima avevo avuto un fortissimo mal di testa.
Dopo qualche ora che giravo per casa sbattendo ovunque e procurandomi vistosi lividi, scopro di non vedere più dall’occhio sinistro.
Ero cieca totale da un occhio.

Non provavo dolore, ma vedevo solo dall’occhio destro. Vi lascio immaginare la quantità di strizza che ho provato, e la quantità di cacca nella quale mi sono trovata immersa da un giorno all’altro.

Chiamo immediatamente il centro per avvisare del mio arrivo imminente. Mi preparano moralmente già al telefono perché sarei dovuta stare un po’ di tempo in regime di ricovero per cercare di combattere anche questa battaglia.
Valigia. Stavolta senza Mattia, ero devastata psicologicamente, forse di più di quando avevo perso l’uso delle gambe.
La Devic può provocare parestesie, ma anche cecità e se dovessi scegliere preferirei perdere l’uso delle gambe, piuttosto degli occhi, almeno potrei riuscirei a vedere dove vado, ma soprattutto quello che mi spaventa di più del perdere la vista è il fatto di non poter più vedere mio figlio. Guardarlo negli occhi, vederlo crescere.

Quello mi manda il cervello in pappa. Quindi se c’è qualcuno che decide e si trova davanti alla scelta, gambe o occhi, scegli le gambe, grazie!
Cominciamo, sempre letto vista finestra. Ormai in reparto mi conoscevano bene, sapevano che era l’unico modo per distrarmi durante la giornata, gli scoiattoli erano sempre li.
Il protocollo prevedeva: Bolo di cortisone. 10. 10 giorni farcita di ormoni, che mi hanno dato degli effetti collaterali prepotenti.

Non dormivo più. Ero sempre sveglia, giorno e notte, dormivo qualche mezz’oretta ogni tanto ma una notte intera non l’ho mai fatta.

Avevo sempre tachicardia. Finita la mia dose giornaliera di cortisone direttamente in vena, partiva il cuore. La sensazione era bruttissima, mi sentivo scoppiare il petto, il cuore lo sentivo pulsare in gola.

Stipsi. Ma io avevo la super mega stipsi. Provavano a darmi sciroppini e suppostine, ma nulla. Tutto era vano.

Mi era venuta la glicemia, quindi mi pungevano il dito più volte al giorno e quella goccina di sangue sembrava saperlo, non usciva mai. Ogni controllo erano sempre due buchi.

Tosse. Sempre. Costante. Secca, non c’era caramella o gocce di calmante che me la fermasse anche solo un pochino. Mi stavano venendo gli addominali scolpiti a forza di colpi di tosse.

Rossore e gonfiore del viso. Soprattutto, ma anche il mio deretano si era adattato. Ero diventata rotonda. Per colpa della ritenzione idrica non avevo più le cosce ma due prosciutti cotti San Daniele.

Male alla pelle. Anche se sembra un sintomo strano, io avevo male alla pelle. Se provavo anche solo a darmi un pizzicotto il dolore era tale da farmi venire le lacrime agli occhi. Tutta la pelle del mio corpo era tesa, rossa, acneica, dolorante, e se sfioravo anche solo il bordo del letto, mi ritrovavo livida.

Aumento dell’appetito. Avrei mangiato anche le lenzuola di cartavetro in dotazione in quei giorni, invece la mia razione k era sempre la stessa: polpettone, pasta e purè, no frutta. Soffrivo per la fame. Quella era la sofferenza più grande. Avevo fame.

Mio marito si divideva tra lavoro e bambino, quindi non riusciva a venire a trovarmi se non ogni 2 o 3 giorni. Ma un giorno Manuel spuntò da quella porticina, io ero già 85 kg, gonfia come una palla da spiaggia, l’occhio non migliorava, e volevo un gelato. Ero in astinenza da cioccolato. Finalmente una gioia. Gli amici come al solito mi erano stati vicino e hanno contribuito a farmi sentire una balenottera, in modo discreto, ma non troppo. Almeno ridevo.

Passati quei 10 giorni, e non avendo avuto miglioramenti di nessun tipo, solo effetti collaterali, decisero di sospendere il cortisone e intraprendere la strada delle plasmaferesi.
Io nel frattempo ero gonfissima, non riuscivo nemmeno a tenere gli occhi aperti, avevo la glicemia alle stelle, ero irriconoscibile.

Decidono di farmi 4 cicli di plasmaferesi.

Mi illuminano quanto prima spiegandomi in che modo mi avrebbero torturata stavolta.

Mi avrebbero messo una cannula xxl nel braccio destro, il tubicino andava dietro la mia testa , dov’era appesa la macchina infernale, poi un tubo di scarico rientrava nel braccio sinistro. Il plasma centrifugato e ripulito, ovviamente non più caldo, mi rientrava in circolo. Temperatura corporea 34.5. Almeno non sudavo.
Ricordo le plasmaferesi come un trauma, non tanto per me ma per chi doveva stare con me.
Primo ciclo, mi preparano, con me mio marito, un ragazzone di 110 kg. Accendono il minipimer alle mie spalle, il sangue comincia a frullare. Lui sviene. Accorre mezzo reparto per farlo rinvenire. Effettivamente faceva effetto vederlo dall’esterno, ma io non vedevo nulla per cui ero serena.
Secondo ciclo. Avevo bisogno di qualcun altro con me per poter bere da una cannuccia, fare pipì nella padella, soddisfare pruriti ecc, io non potevo muovermi né tantomeno alzarmi. Venne la mia migliore amica. Lei è forte, una roccia. Sviene, e tutto il reparto corre premuroso per farla rinvenire. Io sempre serena.
Terza e quarta plasmaferesi, ho deciso per un fai da te: “Guardate amici e parenti, lasciate stare, faccio da me, al massimo mi piscio addosso, almeno mi scaldo.”
Stavo ripartendo da zero. Non avevo più valori nel sangue, solo emoglobina.
E giù di integratori: acido folico, calcio, vitamina D, B, B12, C, potassio, magnesio, e tutto quello che era vendibile in farmacia passava sotto la mia lingua.
Dopo qualche giorno di astenia mi riprendo. Torno a casa. L’occhio ancora cieco. Mi chiamavano Leela.  Gonfia come una bolla di sapone. Non riuscivo a dormire.

Dovevo abituarmi a vedere da un occhio solo. Non avevo le profondità, per cui versavo l’acqua sul tavolo perché non facevo centro nel bicchiere, non riuscivo a parcheggiare la station wagon perché non capivo le profondità e la distanza del marciapiede, non ero più in grado di afferrare al volo un oggetto lanciato da lontano, non potevo più giocare a ping-pong, non potevo più andare al cinema a vedere i film in 3D, avevo spesso mal di testa e l’occhio sano mi lacrimava perché era in costante sforzo.

Dopo qualche disastro e un cerchio rovinato ho imparato. Era facile: per versare l’acqua uso ancora la tattica di toccare il bicchiere e appoggio la bottiglia al bordo, parcheggio usando lo specchietto dx puntato per terra e soprattutto non ho più una station wagon, cosi mi permette di vedere quando si avvicina il marciapiede e il ping-pong non è mai stata la mia passione.
Chiesi l’invalidità civile. La commissione mi passò il 67%, per il fatto di essere diventata monocola. La malattia in se non dava invalidità.
Ogni anno dovevo rinnovare la patente.
Risparmio sugli occhiali da vista ( pago solo la lente graduata dx, quella sx è neutra ).
Mi spavento ancora quando un cameriere mi arriva a sx per porgermi il piatto.
Mi trucco a “stima”, non ve lo sto a spiegare, provate a mettervi la matita facendo finta di avere un occhio solo!

Era difficile spiegare alla gente che essere monocoli porta un sacco di disagi, e mi ritrovai a far provare fisicamente ad amici e parenti a fare le cose di tutti i giorni , con un occhio bendato. Tutti alla fine mi dicevano che era davvero una  merda. Ringraziavo per il sostegno, e mi abituavo a non cadere quando dovevo scendere le scale , che per me non avevano più profondità.

Non ho vinto questa battaglia, ma io punto più in alto!

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