Dopo le terapie ero immunodepressa, ma almeno non ero più sola, mi accompagnavano, funghi, batteri, microbatteri, infezioni, influenze, candidosi, e streptococco, mi mancavano solo le zecche, ero comunque in buona compagnia.
Le prime terapie erano seguite da mascherina. Ma la popolazione di questa triste e piccola città ignorante mi fissava come se fossi un alieno. Ho provato a spiegare che io avrei dovuto aver paura dei loro figli pieni di moccolo e tosse, non loro di me. Ma l’ignoranza la fa da padrona, così al parco mio figlio giocava da solo perché le mamme bastarde ed inette allontanavano i loro bambini. Smisi di usarla. Pazienza. Non posso combattere anche contro l’ignoranza.
Prendevo qualsiasi influenza era in circolazione, avevo sempre il raffreddore, mio figlio dall’asilo mi portava letteralmente a casa sacchi di microbi e virus. Le mie influenze duravano tra i 20 giorni e un mese, ma finivano quasi tutte con l’aiuto di un antibiotico. Se mi impegnavo riuscivo anche ad accavallare più ceppi influenzali e mi ritrovavo con la bronchite, l’intestinale, la congiuntivite e la febbre altissima.
In questi casi necessitavo di ricovero. Stavo un paio di giorni moribonda attaccata a flebo di antibiotici ma poi passava tutto. Per lo meno ho sempre mantenuto un fisico invidiabile, e questo è il segreto dei miei 48 kg.
Ripresi anche a lavorare e feci la seconda terapia, senza effetti collaterali. Il mio corpo reagiva bene, stavo solo verdina 12 ore, ma poi passava tutto. Ero però a tutti gli effetti immunodepressa.
Dopo il richiamo della terapia il congedo è stata una condanna: ogni mese della mia vita avrei dovuto fare gli esami del sangue, ad Orbassano, per controllare la sottopopolazione dei linfociti.
Conducevo una vita tutto sommato normale. Ho iniziato a capirmi e mi curavo da sola.
Ogni sei mesi per controllo dovevo fare la risonanza magnetica con il contrasto, a cui però sono risultata allergica dopo la prima infusione, quindi ogni volta dovevo fare la premedicazione e pregare ognissanti appena mi infilavano nel tubo. Complici anche gli stati ansiosi vivevo questo esame come una vera e propria tortura.
Nel tempo ho cambiato molti centri di radiologici, fino a fermarmi poi al centro “Cento cannoni” di Alessandria. La risonanza li dura 40 minuti, contro l’ora e mezza degli altri maledetti sadici, qui ti danno subito gli esiti e per un ansiosa come me è perfetto. Torno a casa serena invece di stare impanicata diverse settimane prima di sapere cos’hanno scoperto stavolta…
Se avevo dolori muscolari usavo la marijuana, anche se mi avevano prescritto dei medicinali apposta, il problema era che mi rincoglionivano troppo e finivo per dormire tutto il giorno. I primi anni li ho passati avendo dolori allucinanti agli arti, facevo fatica ad aprire una bottiglia di acqua. Lavarmi i capelli era come una sessione di workout, tenere le braccia in alto per qualche minuto erano dolori. Così tagliai i capelli, corti erano pratici e li lavavo nel lavandino e nessuno doveva aiutarmi.
Se sentivo poca forza nelle gambe facevo le punture di vitamina b12. Me ne accorgevo facendo le scale, abitavo al terzo piano senza ascensore, se mi ritrovavo a fare due pause prima di arrivare alla mia porta allora mi siringavo. La vitamina B12 è fighissima, è la mia droga preferita. Quando entra in circolazione brucia come lava, ma dopo 20 minuti la debolezza svaniva e riuscivo anche ad andare in bici.
Per non sovraccaricare il fegato, che già ne aveva da filtrare tra chemio e cortisone, ho smesso di bere superalcolici, aperitivi e amari, mi concedo qualche birretta ogni tanto, ma ad oggi le mie transaminasi sono perfette, nonostante i 12 anni di terapie alle spalle.
Acciaccata si, ma non ho mai abbassato la guardia. Ho sempre lavorato, e fatto tutto da sola e di questo ne sono orgogliosa.
Una cosa sola mi rimprovero oggi, il fatto di non aver mai pensato che potessi aver bisogno di un aiuto psicologico per salvaguardare la mia psiche. Gli amici mi stavano vicino, la mia famiglia anche, per cui per me il cerchio era chiuso. Non mi ero resa conto che tutto questo tempo, il fatto di soffrire mi aveva fatto alzare uno scudo, per difendermi, perché non avrei sopportato anche un dispiacere. Ero diventata la “dura” che non mollava mai, quella che la gente si chiedeva come avessi fatto a superare certe situazioni, con un figlio piccolo. Io ero diventata un super eroe per chi mi conosceva. Ma in realtà ero solo distante da tutto. Cercavo di non coinvolgere amici e famigliari perché li vedevo soffrire molto quindi mi sono chiusa e mi tenevo tutto dentro.
Così passò un altro anno, tra dolori, medici, prescrizioni, domande di invalidità e medicine.
La vita da immunodepressa è diversa dalle altre. Evitavo posti chiusi e affollati, ( banca, posta, supermercato, uffici, studio pediatrico, medico ) se qualcuno starnutiva già immaginavo come sarebbe finita, non andavo nei bagni pubblici, il pediatra di Mattia mi faceva andare da lui a studio chiuso, quando ancora non era pieno di frignanti smoccolatori, sorridevo ma avevo il terrore di ammalarmi.
Conoscevo ogni corridoio di quasi tutti gli ospedali del Piemonte e della Lombardia, sapevo a memoria orari, numeri di telefono e abitudini di medici e specialisti, avevo 25 anni.
I miei coetanei andavano in discoteca, bevevano e si divertivano, io tentavo di non cadere in depressione.
Fino alla seconda devastante ricaduta.
Sei un esempio da seguire…La tua forza,la tua intelligenza, la tua determinazione… Potrei andare avanti ore ad elencare tutto ciò che mi rende orgogliosa di averti come amica!!! Un abbraccio grande donna