Ospedale San Luigi di Orbassano. Reparto C.R.E.S.M.
Si parte, posto letto finestrino. Sull’albero di fronte alla camera ogni tanto spuntavano gli scoiattoli. Giornata caldissima, ma io avevo freddo, ero coperta fino alle orecchie.
Premedicazione. Prelievo, antistaminico, cortisone, soluzione fisiologica.
Arrivano 4 medici, era il momento della terapia. Parte l’infusore anni 80 che aveva un difetto ansiogeno: ogni 8 minuti suonava l’allarme. Ogni 8 minuti mi spaventavo. Passati i primi 10 infarti il buon antistaminico stava facendo il suo dovere. Abbiocco. 7 ore di sonno profondo.
Non sentivo nulla, ne l’allarme, né i vicini di letto che si lamentavano.
Perché si, i compagni di stanza uno dovrebbe poterli scegliere. Invece immancabilmente finivo vicino ad un depresso, o un ipocondriaco, un disfattista o un piagnone.
Il depresso non parla, fissa le gocce di liquido scendere nel tubo di gomma per 3 ore, le altre due dorme. Se è accompagnato, la persona che è con lui lo guarda soltanto con pietà. Non si rivolgono parola.
L’ ipocondriaco fa venire l’ ansia. Chiama le infermiere anche solo se vede una bollicina di aria della flebo avvicinarsi alla cannula. Si fa controllare 6 volte la pressione, la saturazione e la febbre. Non ha mai nulla.
Il disfattista parla. Anche troppo. Si presenta con “piacere Giovanni, anche tu sta merda?” poi prosegue con frasi che forse ha tatuato da qualche parte da come le dice in scioltezza, tipo: tanto moriremo tutti, ho letto che ci stanno avvelenando con queste flebo, nemmeno loro sanno cosa ci iniettano, siamo povere cavie umane, non ne usciremo vivi, sono già contento di aver compiuto 40 anni, e così via.. Diciamo che se lo trovi come vicino di letto devi sperare di aver portato le cuffie.
Il piagnone, di solito è donna. Ha caldo, freddo, c’è umidità, il bagno è sporco, spegniamo la luce? Qualcuno mi accende la luce che non vedo? Se si gira nel letto ogni movimento è un lamento. Poi arriva il pranzo. E il piagnone sfodera la sua carta migliore. È caldo, è freddo, è insipido, è molle, è duro… ovviamente è anche accompagnato da una persona che lo sostiene e lo sprona a lamentarsi di tutto.
Cuffie. Vasco a palla, mi isolo, a volte mi emoziono e sto bene. Non avevo uno smartphone con youtube, spotify, o amazoni music, ma avevo il mio bellissimo mp3 fuxia. Quei pochi giga che poteva contenere erano pregni di Vasco. Un concerto tutto per me. Fronte del palco.
Così passai quelle ore di terapia. Ogni tanto mi svegliavano per misurare pressione e saturazione. Ero viva e vegeta. Nessun effetto collaterale importante. Era tardo pomeriggio, mi staccano le flebo, volevo solo andare in bagno. Stavo bene, ero solo un po’ stordita, ma non meno del solito. Dormo durante il viaggio di ritorno.
A casa mangio poco, in bianco, come prescritto, ma avevo una fame incredibile. Mi addormento sul divano. Ero caduta in una sorta di letargia, ma non stavo male.
E queste furono le mie ultime parole famose.
Arriva la notte.
Ricordo ore di sbocco abbracciata al cesso, il viso color fagiolino, però meno verde, crampi addominali, pipì continue, per colpa dei 4 litri di liquidi sparati in vena. Forse avevo fatto 20 minuti di sonno.
Al mattino ero radiosa come la sposa cadavere. Barcollavo, ma avevo perso il color verdognolo, tendevo al giallo.
Volevo farmi una doccia, avevo passato una nottata da sballo, ero ancora vestita come il giorno prima. Jeans strappati e maglietta del concerto. ( ero la più figa del reparto). Tolgo i jeans e nella tasca dietro, il biglietto del concerto di Vasco. Perché comunque io quel giorno un concerto l’ho ascoltato, e anche se non era dal vivo, Vasco mi aveva fatta stare bene di nuovo.
Buon compleanno Manu.